Progetto Manager: ”Così ci prendiamo cura dei più anziani”

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Così ci prendiamo cura dei più anziani - Progetto Manager di Marzo - Il Blog del Prof. Paolo Barillari

”Così ci prendiamo cura dei più anziani”: Condivido con voi questo articolo scritto da Andrea Ponzano e pubblicato sul numero di Marzo di Progetto Manager. Si tratta di una mia breve intervista su quanto stia cambiando il modo non solo di pensare all’invecchiamento ma anche di approcciarsi all’anziano e alle malattie a cui va incontro.

D. Professore, una vita più lunga che genere di impatto avrà sulla società di domani?

R. Il binomio natalità bassa e speranza di vita alta a cui stiamo assistendo è la sfida che dovremo affrontare. L’Italia dopo il Giappone è il Paese più longevo. Da noi si calcola che nel 2050, quasi il 40% della popolazione avrà più di 65 anni. È necessario cambiare modo di pensare all’invecchiamento. I 65enni di adesso non sono quelli delle generazioni precedenti. Quarant’anni fa, un 65enne era una persona molto anziana. Oggi è un giovane. Io ho 58 anni e mi sento ancora un ragazzino con davanti una lunghissima prospettiva di vita.

Quando ho cominciato a fare il chirurgo 35 anni fa, si parlava di chirurgia nell’anziano e ci si riferiva ai 65enni.

Oggi si parla di 75enni e il limite si sta spostando verso gli 80enni. Nell’ultima settimana ho operato di cancro un uomo di 97 anni e uno di 92 e devo dire che è andata piuttosto bene. È tutto cambiato, innanzitutto il modo di approcciarsi alle malattie dell’anziano.

D. Oggi come dobbiamo considerare la persona anziana?

R. Se l’anziano ha una buona testa e una buona capacità intellettuale, va curato come se fosse un giovane. In paesi come la Norvegia, se un 75enne ha un tumore viene abbandonato a se stesso e stiamo parlando di uno dei paesi più ricchi al mondo. Eppure hanno questo modo di ragionare. Da noi, le persone non vengono abbandonate. Certo per i pazienti più vecchi è più difficile accedere alla chemioterapia o ai servizi oncologici più avanzati. Parlo degli 85enni e dei 90enni. Ma con lo sviluppo delle terapie biologiche succedanee della chemioterapia anche per loro l’accesso alle cure è sempre meno proibitivo.

Abbiamo degli anziani straordinari. Oggi accanto all’età biologica dell’essere umano bisogna imparare a riconoscere l’età dello spirito. Ci sono 90enni che stanno bene, che sono più vivi di un 50enne.

Viviamo di più grazie ai progressi scientifici nella lotta alle malattie cardiovascolari e neoplastiche che sono le cause maggiori di morte. Per i tumori, l’approccio della prevenzione è fondamentale. Oggi riusciamo a fare diagnosi di neoplasie in fase sempre più precoce per cui sempre più curabili. Anche la prevenzione cardiovascolare con la cardio-TC, una tecnica diagnostica non invasiva, contribuisce sensibilmente all’aumento della vita media. È un esame semplice e quasi di routine ormai. Man mano che queste prevenzioni entreranno nella normale pratica clinica, le cause di morte per malattie cardiovascolari o neoplastiche diminuiranno ancora di più.

L’età media è stimata intorno agli 80,8 anni per gli uomini e 85,2 per le donne. Viviamo più a lungo grazie a una medicina sempre più specializzata, diagnosi di nuova generazione e prevenzioni più efficaci.

D. Se stiamo vincendo la lotta alle malattie cardio-vascolari e neoplastiche, qual è la sfida di cui parlava prima?

R. Il problema su cui la scienza medica fatica ancora a trovare soluzioni è quello delle malattie cosiddette degenerative. L’Alzheimer, per esempio. In età adulta diventa demenza senile. Ancora non c’è una cura, né una prevenzione efficace. Il meccanismo di formazione di questa patologia non è ancora chiaro. E questo sarà il vero problema: in futuro avremo sempre più anziani in buona salute, ma con una drastica diminuzione delle capacità intellettive. Non è solo una problematica legata alla salute ma un grande problema per le famiglie, quindi per la società. È questa la sfida a cui facevo riferimento prima.

Fonte articolo: Progetto Manager – Marzo 2019

 

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